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Commercio di rifiuti tra Nord e Sud: esempio di economia circolare o minaccia ambientale?

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Nell’articolo “North–South Waste Trade: Prime Example of the Circular Economy or Major Environmental Threat?” pubblicato sulla rivista Circular Economy and Sustainability , gli autori  Federico Rossi e Piergiuseppe Morone fanno il punto sulla pratica del commercio transfrontaliero dei rifiuti, con particolare attenzione al commercio di abiti usati, materiali RAEE e Platica.

 

I tradizionali modelli economici lineari hanno da tempo dimostrato la loro insostenibilità nel nostro mondo dotato di risorse finite. Di conseguenza, negli ultimi anni si è assistito a un costante aumento delle richieste di passaggio a forme di economia circolare che consentano la crescita senza arrecare danni irreversibili all’ambiente.

Tuttavia, in alcuni settori questo processo nasconde degli inconvenienti che, se non vengono affrontati in modo appropriato, anziché risolvere, possono aggravare il la situazione spostando il problema da un’area geografica a un’altra.

Gli autori affrontano il problema esaminando la gestione dei rifiuti delle aree più ricche del pianeta incentrando l’attenzione sulla pratica di trasferimento dei materiali di scarto da aree molto sviluppate verso aree con un minore sviluppo economico. Trasferimento che prende, prevalentemente, una direzione Nord-Sud.

Se da un lato il commercio Nord-Sud di beni e materiali di scarto si inserisce all’interno delle pratiche virtuose di riciclo e riutilizzo, pilastri dell’economia circolare, dall’altro può rappresentare una grave minaccia ambientale per i Paesi importatori.

Analizzando infatti il trasferimento di abiti usati, materiale plastico e rifiuti RAEE, gli autori pongono l’accento, da una parte, sui possibili benefici portati dal riutilizzo e dalla messa in circolo dei materiali usati, dall’altra, tuttavia, mettono in guardia dai rischi concreti per i paesi importatori dei rifiuti; rischi dovuti alla mancanza di un adeguato controllo e selezione dei materiali inviati che, nella maggior parte dei casi, finiscono subito in discarica.

Questo sistema ha portato al proliferare in molti paesi di discariche poco controllate, con un conseguente drastico aumento dell’inquinamento di terra e suolo.

I paesi in via di sviluppo, tuttavia, negli ultimi anni hanno iniziato a prendere coscienza del problema e stanno ponendo dei freni al commercio dei rifiuti. Gli autori analizzano il caso del ‘ban’ messo in atto dalla Cina che ha causato non pochi problemi ai paesi che contavano su questo paese per smaltire i propri rifiuti.

In conclusione, la presente analisi mette in evidenza l’urgente necessità di mettere in atto delle vere e proprie pratiche di economia circolare nei paesi più sviluppati per ridurre drasticamente la produzione di rifiuti: i responsabili politici dovrebbero affrontare il problema del consumo eccessivo nei rispettivi Paesi mettendo in atto politiche volte a ridurre i consumi. La messa in discarica, la combustione a fini energetici ed il riciclaggio dovrebbero essere considerati opzioni praticabili solo quando il riutilizzo, la rimessa a nuovo, la riparazione e la rifabbricazione non sono fattibili.

Occorre inoltre comprendere che le strategie di gestione dei rifiuti basate sulla logica del “distanziamento” non sono più praticabili. Diverse iniziative di economia circolare si sono infatti rivelate semplici strumenti per i Paesi del Nord per creare una “distanza” tra i loro livelli di consumo sproporzionati e i costi ecologici e sociali del loro consumo. Di conseguenza, un’azione seria per prevenire future crisi globali viene spesso rimandata, mentre i benefici della produzione e i costi dello smaltimento transfrontaliero dei rifiuti rimangono distribuiti in modo diseguale.

Alla luce di quanto sin qui detto, gli autori auspicano che la comunità internazionale lavori in maniera sinergica per sviluppare azioni politiche adeguate ad affrontare il problema in termini di sostenibilità ambientale e sociale.


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